Qualche giorno fa ho letto il rapporto Istat sui dati della partecipazione alla vita politica emersi dalle rilevazioni fatte nel 2024 e si nota che negli ultimi vent’anni la partecipazione politica in Italia ha imboccato una parabola discendente. Ora, premetto di non essere un tecnico, ma sulla base di quanto fornito vorrei fare alcune considerazioni personali basate sulla mia esperienza personale e pastorale.
- Nel 2024 meno della metà degli italiani (48,2%) si informa di politica almeno una volta a settimana; tra i giovanissimi 14-17 anni scende al 16,3% e sei su dieci non si informano mai.
- Nel 2024 ha partecipato a comizi il 2,5% e a cortei il 3,3% della popolazione, valori quasi dimezzati rispetto al 2003.
Le motivazioni dichiarate da chi non si informa mai di politica parlano chiaro: disinteresse (63%) e sfiducia (22,8%). Il quadro è più critico nel Mezzogiorno, dove circa il 40% si informa settimanalmente (contro oltre il 52% nel Centro-Nord) e il 37,3% non si informa mai. Credo che i motivi principali di questo disincanto si possono raggruppare in tre grandi emergenze:
1) L’abbandono dei territori.
Il calo di partecipazione non è uniforme: Calabria, Sicilia e Campania sono “zone rosse” della disaffezione. In queste regioni, più che in altre, i servizi languono e la presenza politica è intermittente, diminuisce la fiducia nell’utilità del coinvolgimento civico. Spesso si segnala un deficit di presidio istituzionale e di responsabilità locale: se non vedi il rappresentante sul tuo territorio (e non vedi i servizi arrivare), ti allontani dalle urne e dall’informazione. Ci sono poi quelle presenze che, più che essere apportatrici di progresso o soluzione di problemi, sono semplice controllo di un feudo elettorale foraggiato a passerelle “istituzionali” e contributi a pioggia per iniziative, eventi, sagre, manifestazioni religiose fini a se stesse.
2) Ideologia lontana dai bisogni reali.
I dati raccontano anche di un pubblico che trae la propria informazione non dalla partecipazione attiva o quella che una volta era la militanza dei partiti, ma dalla TV (ancora usata dall’84,7%, ma in calo) e abbandona i quotidiani, mentre cresce l’uso della rete tra gli under40. La politica che resta chiusa nei salotti, nelle proprie liturgie, non sempre necessarie e nella mediazione di una informazione sempre meno critica e più accondiscendente alla linea di governo del momento, intanto, perde presa su cittadini che chiedono risposte pratiche: trasporti funzionanti, sanità territoriale, scuola, lavoro, casa, tempi della burocrazia. Quando l’offerta si concentra sullo scontro simbolico, ideologico e tralascia l’offerta dei servizi, prevalgono disinteresse e sfiducia, proprio le ragioni più citate dai non informati.
3) Capitale umano sprecato.
Il distacco è massimo tra i giovani: il sistema politico non intercetta chi studia, lavora, fa impresa sociale o culturale nei quartieri, nelle città, meno ancora nei piccoli paesi soprattutto delle aree interne di cui ormai si è decretata l’eutanasia. È un paradosso: eppure esiste una gioventù che investe sul proprio territorio (cooperative, rigenerazione urbana, start-up, associazionismo), ma raramente viene coinvolta nei processi decisionali. Il risultato è un circuito vizioso: meno ascolto → meno fiducia → meno partecipazione.
Rimane solo la parvenza di una democrazia partecipata affidata a Pro Loco e Forum Giovani e Associazioni per lo più del Terzo Settore, ma su iniziative e progetti concordati preventivamente col potere governativo e di poche migliaia di euro, insomma, palliativi, per non dire contentini.
Io credo che occorra una seria agenda per ricucire il rapporto tra la politica e i cittadini che potrebbe partire da alcune scelte semplici: rinnovare classe politica, mettere i giovani al centro, spostare la spesa sui servizi.
L’apatia fotografata non è “genetica”, l’uomo, come diceva Aristotele è “per sua natura un animale politico”, egli si allontana per razionale conseguenza di distanza, servizi carenti e assenza di risultati tangibili.
In un suo intervento su Avvenire il Presidente Nazionale di Azione Cattolica mette in guardia da un serio rischio: "La Democrazia vive o muore non nei palazzi, ma nella case e nelle piazze, nelle relazioni e nelle scelte quotidiane, domani altri riempiranno quel vuoto"
La cura è nota: occorre una politica che abiti i territori, che misuri costantemente e pubblicamente ciò che promette e porta dentro i giovani che già costruiscono pezzi di presente e di futuro nelle città e nei paesi. Inoltre, occorre spostare la spesa dai totem ideologici ai servizi essenziali.
Disinteresse e sfiducia — oggi le prime ragioni dell’allontanamento — possono diventare attenzione e co-progettazione con e a favore di chi nelle comunità ci rimane e non in funzione di possibili avventori. I dati citati ci danno la diagnosi; tocca alla classe dirigente trasformarli in terapia.
Per i dati tecnici e per il rimando a queste considerazioni potete consultare: ISTAT, “La partecipazione politica in Italia – Anno 2024” (comunicato e focus statistico, pubblicati il 17 settembre 2025, dati 2024).